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I destini della risorsa femminile e di quella naturale sono legati a doppio filo nella storia della modernità: più di 10 graffianti voci del panorama artistico contemporaneo internazionale – tra artista visive, performer e scrittrici – si confrontano nella mostra “Wasted”, allestita a Udine (Bunker antiaereo di Piazza I maggio, sotto il colle del Castello) fino al prossimo 3 novembre dall’Associazione artistico-culturale IoDeposito per la direzione artistica di Chiara Isadora Artico. Al centro dell’esposizione e del progetto – presentata alla presenza di Francesca Turrini degli uffici Cultura della Regione Fvg, che ha portato i saluti del vicepresidente Mario Anzil, di Antonella Gatta in rappresentanza del comune di Udine e Renata della Ricca, commissione Pari opportunità del Consiglio regionale – alcuni dei temi caldi della questione femminile odierna, rintracciando sentieri e collegamenti tra lo “spreco” della competenza femminile e lo “spreco” di quella naturale. La mostra – che oltre alle opere prevede eventi, talk, e live performance – è suddivisa concettualmente in tre capitoli e presenta visioni e suggestioni provenienti dal mondo dell’arte sul rapporto uomo-donna-natura, attivando circuiti di pensiero critico sull’iconografia e sulla rappresentazione visuale, sul tema dello sguardo, sul tema del corpo in rapporto alla società, rintracciando e suggerendo quei percorsi culturali collettivi che in modo implicito o esplicito possono accorciare la distanza tra i generi.

Il primo capitolo della mostra verte sul tema del trasferimento di conoscenza, operato per secoli secondo schemi e pratiche “patriarcali”, come osservato e teorizzato dalla scrittrice statunitense Bell Hooks: tali schemi – ci spiega – hanno promosso un modello apparentemente razionalizzante di matrice positivista: dietro a tale facciata, si venivano in realtà squalificando e marginalizzando le conoscenze e le pratiche provenienti dall’universo femminile. Spiccano in questa sezione le installazioni di Beatrice Achille – poetessa e filosofa, conosciuta per le sue opere di videopoesia – e di Zosia Zoltkowski, artista interdisciplinare di origine Polacca, australiana di prima generazione, che si occupa di ricerca e creazione performativa: entrambe suggeriscono nuovi modi per conoscere l’ambiente, modi “sussurrati” che richiedono l’utilizzo dell’epidermide e delle membrane vocali per l’acquisizione e il trasferimento della conoscenza del mondo. Di Beatrice Achille è presente l’opera sonora “Mnestica”: da una conchiglia accostata all’orecchio è possibile ascoltare una sua poesia che invita i visitatori a scoprirsi custodi delle tracce sommerse della cultura femminile. Di Zosia Zoltkowski è possibile apprezzare il suo distintivo metodo di “body mapping” in una video-performance dove l’artista sviluppa un rapporto conoscitivo con l’ambiente che la circonda tramite la consapevolezza del corpo. La performance suggestiona lo spettatore suggerendo un contatto primordiale, fisico e insieme spirituale, con gli elementi naturali. Zosia sarà protagonista venerdì 13 ottobre alle 18.00 (con replica sabato 14 ottobre alle 17.00) di una durational performance creata appositamente per la mostra proprio dal titolo Wasted. Avvolta in uno strato di plastica (chiara evocazione dell’inquinamento che soffoca il pianeta), l’artista cerca la coabitazione con un sistema che manipola il suo spazio vitale e limita il suo movimento attraverso pareti trasparenti: una metafora dell’esperienza femminile, equiparata a quella ambientale.

Il secondo capitolo della mostra presenta una selezione di opere e di performance che reinterpretano due leitmotiv iconografici dell’arte visuale, nei quali il trasferimento di conoscenza patriarcale si è tradotto nel cosiddetto “male gaze”, quello sguardo maschile egemone nei secoli, influente a tal punto da essere introiettato anche dalle donne. Si tratta dell’accostamento dei topoi visuali del nudo femminile e della natura morta, modelli di rappresentazione canonicamente accettati, nei quali il rapporto di potere tra l’uomo e il soggetto dipinto rende evidente la disparità. Decostruendo e reinterpretando i tratti tipici della natura morta e del nudo femminile, si possono ammirare le opere di Holly Timpener (Canada), Nemanja Milenković (Serbia), Andreja Kargačin (Serbia), Kate Gilmore (USA) e Marta Lodola (Italia/Germania) che ne esplorano nuove versioni, provocatorie o concilianti, ribaltandone gli stereotipi e le relazioni unidirezionali di conquista e sopraffazione e ribilanciando lo sguardo, così da liberare i soggetti rappresentati o dare voce ai loro stati d’animo.

L’ultimo insieme narrativo, il terzo capitolo, traendo dai precedenti, introduce i temi dell’impatto di tale mentalità nell’ambito sociale, tratteggiando un filo rosso che vede il corpo femminile come perno centrale della discussione. Già la prima ondata del movimento femminista americano rilevava il tema della percezione frammentaria del corpo femminile, nel quale ogni pezzo, disgiunto dagli altri – ad esempio le labbra, le gambe, il seno – deve misurarsi e cercare di corrispondere ad uno standard di bellezza e di perfezione imposto dallo sguardo maschile e dal mercato, che impedisce alla donna un’esperienza totalizzante del suo essere corporeo. Molti sono i meccanismi ancora non sufficientemente discussi relativi alle micro-aggressioni quotidiane ai danni dell’universo femminile e dei suoi diritti di espressione e auto-affermazione. Il capitolo presenta una selezione inter-generazionale di opere video e performative, che portano a smascherare tali schemi e a offrirne antidoti. Spicca nella sezione la presenza dell’artista americana Martha Rosler che storicamente si è espressa attraverso differenti forme: video, fotografia, testi, installazioni e performance. In mostra la sua opera-video del 1977 Vital Statistic of a Citizen, Simply Obtained. Nel video, nell’arco di una pseudo visita medica, un dottore misura con piglio assertivo e distaccato le parti del corpo dell’artista, in un’atmosfera di freddezza che scandisce sopraffazione: l’esame prevede la graduale svestizione del corpo della donna, sottoposta a un’umiliante situazione di reificazione e perdita di controllo. Presente anche una video-opera della britannica Sarah Maple, artista multidisciplinare nota per le sue opere audaci che sfidano le nozioni di identità, religione e femminismo. Nel suo video Freedom of Speech il diritto di parola è fisicamente impedito dalla dinamica di sopraffazione del corpo.

Nel corso della mostra sono previste una serie di live-performance, a partire, oggi, dal vernissage di inaugurazione che prevede alle 18.00 due performance in contemporanea. L’artista serba Sonja Radaković propone “Unrequited Love”, una visione liberatoria del corpo femminile, attraverso una pratica di resistenza fisica e mentale. L’artista offre un antidoto alla sensazione di oppressione attraverso una corsa ininterrotta di circa 3 ore sul breve e ripetitivo circuito di cemento fresco, avvicinando chi guarda all’esperienza del fenomeno naturale per antonomasia: il dispiegamento di energia creatrice. In mostra resteranno poi disponibili i video, le fotografie, e il circuito cementificato: traccia visibile del passaggio dell’artista. In contemporanea la durational performance, “Hold on Her” ideata nel 1975 da Kate Gilmore e interpretata da Camilla Isola. Nel panorama artistico internazionale quella della dell’artista statunitense è una delle voci più riconosciute per la sua capacità di mettere in discussione gli stereotipi connessi al genere. Le sue opere, che si sviluppano tra scultura e performance, sono state esposte tra gli altri al Whitney Museum of American Art, alla Biennale di Mosca, al MoMA di New York e al Fine Art Museum di Boston. Nella performance, Gilmore inventa una nuova forma di natura morta: un tableau vivant nel quale il corpo femminile sta su uno stallo sorreggendo alcuni oggetti dal sapore archeologico ed etnografico. Sorreggendoli, la donna non abbandona mai la presa. La performance sarà replicata domani, alle 17, e sabato 21 ottobre stessa ora.

Al centro del week end di venerdì 13 e sabato 14 ottobre due, ulteriori live performance a partire dalla già citata “Wasted” di Zosia Zoltkowski affiancata dalla durational performance “Covered” di Marta Lodola della durata di circa 2 ore. Qui il corpo femminile è al centro del paradosso: lo sguardo maschile lo vuole aderente ai parametri del “corpo ideale” (un modello imposto da ciò che dovrebbe essere l’attrattiva sessuale), che però non corrispondono a ciò che il corpo è effettivamente in natura. Sovvertendo il canone del nudo femminile pittorico, l’artista opera una riappropriazione della propria autonomia attraverso la vestizione. Nella sua performance l’artista avvolge progressivamente il suo corpo con un gomitolo di lana rossa: il filo diventa come una seconda pelle, uno strumento di elevazione verso l’auto-conferimento del potere personale e un mezzo di de-colonizzazione dallo sguardo maschile.
Il progetto prevede per venerdì 20 ottobre a Casa Cavazzini il workshop Dualità ed espressione con il duo di artisti Alice Mestriner e Ahad Moslemi (ore 18.00). Sabato 21 ottobre alle 16.30 in programma un laboratorio didattico-creativo per ragazzi sui temi di interesse dell’esposizione, appositamente studiato per ragazzi di età 10-15 anni dagli arte-terapeuti di Comfort Zone.
Spiccano nel programma due presentazioni editoriali a partire, venerdì 27 ottobre alle 18.00 alla Libreria Friuli del libro di Jennifer Guerra “Sul sellino posteriore della motocicletta. Pasolini e il femminismo”. Sabato 28 ottobre, invece, sempre alle 18.00 Gaia Ginevra Giorgi presenta il suo libro Dizionario fantastico Sul paesaggio e sui suoi attraversamenti.
Particolare attenzione in mostra viene riservato anche alla possibile fruizione dell’esposizione da parte di bambini e ragazzi e delle loro famiglie. Durante ogni evento, IoDeposito ha riservato uno spazio dedicato ai bambini e ai ragazzi con libri e personale dedicato.

Tutte le performance, i laboratori e gli incontri sono ad ingresso libero. Consigliata la prenotazione: prenotazione@iodeposito.org

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